Skip to main content

“Aligi Sassu, Opere 1927-1941”


  • 23 Novembre 2019

Spazio Comel d’arte contemporanea, Latina. Inaugurazione 23 novembre 2019

I tempi, i luoghi, gli spazi e le ragioni della mostra dedicata ad Aligi Sassu, con opere provenienti dal museo di Atessa intitolato al grande Artista, nello Spazio COMEL Arte Contemporanea di Latina si compongono sulla trama di sorprendenti concomitanze, finalità ed esperienze e si coagulano quasi per magia nel segno della generosità e dell’amore per l’arte. Ideali che motivano ed alimentano l’evergetismo illuminato di Alfredo Paglione, cognato di Sassu, che ha reso possibile la realizzazione dell’itinerario museale di Atessa con opere della sua vasta collezione, e dei fratelli Mazzola, che da anni promuovono, sostengono e valorizzano l’arte contemporanea e gli artisti più autorevoli dello scenario artistico nazionale ed internazionale. Alfredo Paglione, nativo di Tornareccio, in Abruzzo, e titolare della prestigiosa Galleria Trentadue, cenacolo culturale di altissimo livello e crocevia di artisti ed intellettuali della Milano colta degli ultimi decenni del XX secolo, ha incontrato Aligi Sassu lungo i sentieri dell’arte ed ha condiviso con lui esperienze fecondissime, come le creative stagioni estive di Albissola, dando vita ad un felice sodalizio artistico e culturale. Le vicende della vita ed il matrimonio con le sorelle Olivares, di nazionalità colombiana, hanno poi rafforzato, con il vincolo affettivo e con la frequentazione assidua, il loro rapporto di lealtà e di stima ed hanno contribuito a delineare i loro orizzonti artistici ed esistenziali.
Lungo ed intenso è il legame di Aligi Sassu con l’Abruzzo. Artista riservato, tenace, coerente ed instancabile come tutti i sardi, da cui trae le origini per linea paterna, egli racchiude nel suo codice genetico aspetti caratteriali e scelte di vita e di pensiero che lo rendono particolarmente affine alla sensibilità degli Abruzzesi. Circa dieci anni prima di conoscere Alfredo Paglione, nel 1948, Aligi Sassu partecipa con uno dei suoi celebri caffè, l’opera Malinconia, al Premio Nazionale di pittura intitolato a Francesco Paolo Michetti a Francavilla e ne risulta vincitore. Tornerà in Abruzzo nel 1964 per eseguire nella chiesa di Sant’Andrea a Pescara il grandioso affresco sul Concilio Vaticano II, ospite dei Padri Oblati di Maria Immacolata e del parroco, padre Fiore, fratello di Alfredo. Nella stessa chiesa, nel 1967, partecipa come testimone, alle nozze di Alfredo Paglione e di Teresita Olivares, sorella della compagna Helenita, e nel 1976 vi torna ancora per realizzare due splendidi mosaici.
Il rapporto sempre più solido e proficuo del grande Maestro con l’Abruzzo si intensifica poi nel corso degli anni e si esprime in una serie di manifestazioni e di mostre temporanee, tra cui l’esposizione di 112 oli nella mostra “Sassu e Dante” al Castello Gizzi di Torre dei Passeri nel 1987, rimasta memorabile per il grande successo di critica e per la insondabile profondità interpretativa del testo dantesco. Lo stesso Artista sembra esserne consapevole quando afferma: “La Divina Commedia” È stata per me una fiamma bruciante, una lettura, una partecipazione vissuta che ho coltivato per tante stagioni, qualcosa che è divenuto specchio della mia anima del mio lavoro per anni ...”
Le opere di Aligi Sassu sono oggi presenti in diversi musei abruzzesi, frutto delle donazioni con cui Alfredo Paglione sta componendo il grande mosaico del suo progetto, contribuendo così a ridisegnare il tessuto culturale ed artistico della sua amata terra d’Abruzzo. Una delle tessere più importanti è sicuramente il Museo Aligi Sassu di Atessa che ospita una collezione di 210 opere che si snodano in un percorso storico e cronologico monotematico con opere uniche ed opere incise e stampate, che lo rende un unicum nel panorama nazionale.
Negli ultimi anni nel circuito espositivo di Atessa i quadri interagiscono e dialogano emotivamente anche con le sculture e le ceramiche di Sassu provenienti dal museo di Castelli, danneggiato dal sisma de L’Aquila. Si ricompongono così temporaneamente ed in simbolica unità le sue tre anime artistiche, la pittura, la scultura e la ceramica.
L’Artista plasma il bronzo con forza intensa e vigorosa e la materia si trasforma in superbe figure di cavalli che, dalle forme archetipiche più pesanti e massicce, attraverso un progressivo affinamento del linguaggio espressivo, si trasformano in produzioni dai contorni leggeri e quasi sfumati e nel gioco intrigante di masse piene e vuote. I cavalli scolpiti si rincorrono con i cavalli dipinti nei quadri e con quelli impressi nella ceramica, in un intreccio di volumi e di cromatismi che svelano gli impulsi psichici più profondi e le memorie ancestrali del Maestro che compie il suo apprendistato di artista e di uomo con Agenore Fabbri, Lucio Fontana ed altri grandi ceramisti nelle botteghe fumose dei vasai e dei tornianti di Albissola Marina.
La scelta dei quadri da trasferire da Atessa a Latina non è casuale. L’esposizione temporanea di Latina focalizza l’obiettivo essenzialmente sulle opere giovanili di Aligi Sassu, prodotte dal 1927 al 1941, a partire dalle prime produzioni legate al futurismo, sorprendenti ed irripetibili nell’impianto compositivo, ritmato sull’intarsio delle figure geometriche, e nella cifra cromatica che predilige i colori accesi, brillanti e visionari che rivelano già una sorprendente padronanza dei mezzi espressivi ed una grande maturità pittorica.
Le altre opere esposte scandiscono alcune tappe fondamentali dell’esperienza umana ed artistica di Sassu, dall’adesione ai moduli del primitivismo all’intensa stagione dei soggiorni parigini, dalla ricerca di modernizzazione dell’iconografia sacra, sotto l’impulso dell’intellettuale cattolico Edoardo Persico, all’amaro soggiorno in carcere per attività antifascista, fino alle prime sperimentazioni come ceramista. La fedeltà al figurativo e la vocazione al colore costituiscono il timbro dominante delle sue produzioni.
La tavolozza dei colori ed il segno grafico enfatizzano la tensione etica e la forza onirica che dominano muscoli, sguardi, atteggiamenti e segni dei soggetti rappresentati, marinai, musici, ciclisti, eroi del mito, pugilatori, gruppi, e già svelano in nuce gli esiti artistici più noti, come nel ciclo degli Uomini Rossi, dei Caffè, delle Maisons Tellier e dei cavalli.
Intrisa di significati e di simbolismi, l’immagine del Ciclista, assorto nella sua fissità pensosa e nella sua staticità colorata di un azzurro vibrante energia e creatività, sembra meditare le sfide che lo attendono nell’immediato e l’enigma del futuro lontano che si profila oltre la linea dei monti. E, oltrepassato l’Appennino, concedersi anche una sosta nella città di Latina.
Quest’opera, identificativa del museo di Atessa, può essere interpretata come metafora stessa dell’esistenza, icona dell’impegno che l’uomo Aligi Sassu, ma anche l’uomo di ogni tempo, assume prima con sé stesso e poi con la società, per dare un senso alla propria vita e vestire l’abito della quotidianità con consapevolezza sofferta e condivisa.
Il giovane Aligi osa quindi sfidare la propria capacità di resistenza e di sacrificio, come uomo e come artista, sorretto da una volontà indomita e dal gusto sofferto della scoperta di sé stesso e della grande volata della vita, come si può intuire anche dall’intenso e profondo Autoritratto presente nella mostra latinense. Non a caso tutti i ciclisti, protagonisti delle opere esposte, privilegiano la stasi, il riposo, l’introspezione. Essi non si lasciano sedurre dal vigore della pedalata, dallo sforzo agonistico e dall’ebbrezza della velocità, ma la lezione del futurismo riemerge nelle opere dei decenni successivi e conferisce alla materia cromatica una energia sferzante e sensuale, misteriosa ed ammaliante. Ciclisti e cavalli in corsa sembrano allora esplodere, quasi a forare i quadri, per ghermire l’osservatore e trascinarlo in una corsa liberatoria e liberante, fisica e psichica.
Questa vis energetica, ritmica e seducente, che caratterizza le produzioni di Sassu degli ultimi decenni del XIX secolo, è ben rappresentata nelle sale del Museo di Atessa ed emerge significativamente nella produzione grafica in cui Sassu declina una serie di tecniche in una inesausta ricerca del nuovo, nella sperimentazione entusiastica dei materiali più moderni ed inconsueti, nell’utilizzo di punte e di mezzi fuori dall’ordinario per scalfire la lastra e nel riutilizzo ardito dei vecchi clichés impressi nella sua memoria di giovane apprendista tipografo. Ne sono esempi eloquenti le acqueforti e le acquetinte esposte in mostra e datate all’origine del percorso.
“Il farsi dell’opera si trasforma in una sorta di laboratorio di ricerca...” scrive Paolo Bellini nel catalogo dell’opera incisa e litografica di Sassu nel 1984. Tale modus operandi si estende anche alla pittura, alla scultura e alla ceramica e connota la singolarità dello stile straordinario di Sassu che, nella ricerca continua delle tecniche tradizionali o più avanzate e degli innumerevoli significati con cui l’arte interpreta la realtà, evoca suggestivi richiami all’epoca ellenistica e al ruolo svolto dagli intellettuali nel museion di Alessandria, vero laboratorio di ricerca, di arte e di scienza. La lezione del Maestro è sempre di grande attualità. Senza alcuna presunzione, ma con grande sacrificio ed umiltà, si cerca di far vivere il museo di Atessa come luogo di incontro e come contenitore multidisciplinare, centro dinamico di idee e di cultura a servizio della comunità e non solo come luogo di conservazione di collezioni d’arte.
La valenza artistica del percorso museale di Atessa e gli altri spazi disponibili nello storico Palazzo Ferri che lo ospita favoriscono, infatti, la realizzazione di molteplici attività didattiche e culturali, in sinergia ed armonia anche con altre discipline, come musica, teatro, letteratura, e l’allestimento di mostre temporanee che spaziano dall’arte all’antropologia simbolica, dalla storia all’ambiente.
In quest’ottica le occasioni per poter effettuare esposizioni temporanee, scambi e prestiti, già previsti negli articoli dello Statuto della Fondazione MuseAte, con musei e gallerie di altre città e di altre regioni, rappresentano momenti privilegiati per far conoscere la realtà museale di Atessa e soprattutto la ricca collezione di opere di Aligi Sassu.
Il confronto fra esperienze artistiche diverse motiva e stimola sempre nuovi interessi, nuovi metodi di indagine e di ricerca, nuovi approcci all’opera d’arte e nuove strategie per conoscere e sperimentare la duttilità dei materiali e le loro continue inedite possibilità. E la mostra espositiva di Latina nello Spazio COMEL è sicuramente una delle tappe più prestigiose di questo percorso di esperienze in fieri di collaborazione e di interazione che la Fondazione MuseAte persegue da circa dieci anni.
Grazie dunque ad Alfredo Paglione, grande mecenate ed infaticabile ‘seminatore’ di bellezza, che ha messo a disposizione le opere. Grazie a Teresita, la dolce “signora delle tartarughe”, sua amatissima compagna, il cui ricordo continua a dar forza alla straordinaria opera di mecenatismo, alla quale aveva dato in vita un grande contributo, per rendere partecipi tutti gli abruzzesi, e soprattutto i giovani, della bellezza dell’arte e degli ideali vertiginosi che essa sa suscitare senza riserve e senza menzogne. Grazie ai fratelli Adriano e Maria Gabriella Mazzola che ospitano la mostra nel loro spazio polifunzionale denso di vissuto industriale e carico di memorie affettive e di sperimentazioni creative che riannodano il solido legame con la madre e ne fanno vivere il ricordo con un tributo di squisita ‘pietas’ filiale. Grazie al prof. Giorgio Agnisola, ideatore della mostra e critico raffinato e sensibile, che con garbo ed eleganza sa tessere i rapporti di amicizia e di lavoro e li trasforma in occasioni per fare ammirare la bellezza e per parteciparla agli altri, caricandola di emozioni, significati e simbolismi. Grazie, infine, ad Anna D’Intino ed Anna Pia Apilongo ed a tutti i soci della Fondazione MuseAte che, insieme alla sottoscritta e a puro titolo di volontariato, gestiscono, tutelano e valorizzano con attenzione, passione ed equilibrio, il museo Aligi Sassu e le altre strutture del polo museale atessano.

Adele Cicchitti - Presidente Fondazione MuseAte.


Pitture su carta, inchiostri, matite colorate, opere grafiche

È sempre affascinante leggere le opere giovanili di un grande artista. Vi si possono cogliere la freschezza delle prime prove, gli orientamenti dei saggi stilistici, i riflessi ispirati dello sguardo volto a questo o a quell’autore che ha impressionato la fertile e giovane fantasia. Soprattutto vi si possono registrare quelle geniali intuizioni che segneranno nel tempo la personalità e il mestiere.
Tutto questo è leggibile anche nell’arte giovane di Aligi Sassu, testimoniata da questa intensissima mostra, che riguarda gli anni dal 1927 al 1941, resa possibile dalla sensibile disponibilità del grande mecenate Alfredo Paglione, che fu cognato e gallerista di Sassu; da quella, altrettanto sensibile, dei responsabili del Museo Sassu della città di Atessa, e in particolare della prof.ssa Adele Cicchitti, presidente della fondazione MuseAte, e altresì dell’arch. Anna D’Intino, direttrice del Museo, e della dott.ssa Anna Pia Apilongo, e non ultimo dalla preziosa opera degli illuminati operatori culturali, i fratelli Mazzola, Gabriella e Adriano, che hanno voluto questa mostra nel loro splendido spazio espositivo latinense.
Ma, devo dire, è leggibile in parte, giacché gli esiti che qui si rappresentano in 24 opere pittoriche, disegni, inchiostri e grafiche, sono tutt’altro che prove, al di là di ogni individuabile referenza, delineando già il profilo di un artista di grande e sicuro talento. In essi infatti sono rintracciabili quei riferimenti ispirativi che poi saranno i capisaldi della sua avventura creativa e quei tratti della personale identità che lo renderanno inconfondibile nel panorama dell’arte italiana del Novecento. Tutto, o quasi, riguardo al suo registro, sembra in effetti delinearsi e persino compiersi proprio in quei primi anni, al di là della breve stagione futurista, che pure impressionò indelebilmente la sua fantasia.
Sassu in realtà fu precocissimo. Fu alla Biennale di Venezia a soli 16 anni, presentato da Marinetti in persona, che aveva ammirato i commenti visivi alla sua opera Mafarka il futurista e che in lui vide una autentica promessa. L’artista rivelava fin dagli esordi una forte sensibilità espressiva, insieme narrativa e visionaria, fondata in un pathos interiore di grande connotazione umanistica. Ciò conferiva alle opere, ai dipinti come ai disegni, un taglio di concentrazione simbolica, che non copriva d’altra parte la spinta descrittiva e più propriamente narrativa dell’immagine. Anzi questa abilità di astrarre dal contesto pur restando ancorato ad esso, e di cogliere nell’immagine una dimensione di atemporalità, è uno dei caratteri fondanti del suo stile.
Si tratta di un carattere che deriva dal suo tratto umano e dalle suggestioni dell’infanzia, in particolare dai ricordi della solare e selvaggia natura sarda (in Sardegna, la terra natale del padre, Sassu visse tre indimenticabili anni), ma anche dalla animosità della terra lombarda, dove approdò per restarvi durante gli anni della formazione. In sostanza Sassu tese sempre a legare nelle sue opere uno spartito emotivo con una necessità rappresentativa, spinto dal bisogno di definire un ambito in cui i personaggi rappresentati potessero essere pienamente e umanamente inseriti. Quasi sempre si trattava di vere e proprie scenografie, che mentre avevano attinenza con il mondo reale, per altri aspetti lo trascendevano, essendo configurate in un mondo altro, mitico e simbolico. Ecco perché uno dei metaforici luoghi dell’arte di Sassu, al di là del dinamismo della forma, è il silenzio. Un silenzio che può essere sfondo alla più sensibile poesia come al più teso empito formale, come quello espresso dai cavalli, simboli di libertà ed energia, ma anche di un passaggio fisico e in parte metafisico verso un universo meditativo entro cui ogni furore vitale si apre ad un universo d’anima. Ecco perché i personaggi rappresentati da Sassu sono quasi sempre assorti, hanno un atteggiamento pensoso, apparentemente introverso, in realtà profondamente riflessivo.
La conferma viene dal colore. Gli “Uomini rossi”, tra i capitoli più innovativi della sua vasta produzione, sono in sostanza la testimonianza di un rifiuto di una classicità retorica e l’apertura alla freschezza e alla passionalità del linguaggio, alla libertà del mito, vissuto non come nostalgico nel passato, ma come ulteriorità dell’essere e del sentire, come autentica e fondante e rigenerante, mediterranea immaginazione. Una tale visione si lega indubbiamente anche al suo sentire politico, che fu determinante nella sua avventura umana, soprattutto negli anni giovanili.
Sarebbe un errore tuttavia interpretare il suo linguaggio solo in relazione a quel suo sentire e alle connesse battaglie ideologiche. Se indubbiamente esse segnarono i passaggi culturali della sua opera giovanile, tutto in Sassu veniva poi filtrato dalla natura dell’uomo, dal suo sentire intimistico e solare, caldo e colto, concreto e sognatore. La sua stessa contrapposizione a Novecento fu la testimonianza vitale di uno sguardo aperto al nuovo, seppure fondato nel grande passato. Sassu è stato certamente interprete di quel processo di rifondazione del linguaggio che ha caratterizzato fin dagli esordi il gruppo Corrente, ma soprattutto un libero ricercatore di umanità.
I suoi celebri ciclisti, ad esempio, non sono solo un capitolo singolare nel panorama dell’arte italiana del Novecento, ma soprattutto un racconto d’anima, si direbbe esistenziale, in cui l’artista celebra sì l’agonismo e la festa di una coinvolgente avventura sportiva, ma soprattutto i sentimenti, i risvolti umani e relazionali che vi si accompagnano e che l’artista vive, essendo egli stesso un appassionato ciclista. Il traguardo, le maglie, la stessa bicicletta, sono insomma luoghi e segni simbolici di una avventura umana.
In mostra, sul tema, sono presenti quattro lavori. Uno di essi, Il ciclista, acquerello del 1930, costituisce il logo del Museo di Atessa. È un ciclista terribilmente pensoso, chiuso, quasi severo, che posa in primo piano rivolto all’osservatore. Dietro di lui la via, percorsa o da percorrere, si profila serpeggiando fino a scomparire sulle alture. Veste di blu, blu è la maglia, blu il pantaloncino. Ma blu è anche la vetta che si profila dietro le sue spalle, come nota Elena Pontiggia nel suo bel testo a premessa del catalogo della collezione atessana, a significare forse il valore simbolico di un’ascesa, del sacrificio connesso con la prova, della conquista infine della meta.
Valore che nell’opera non si legge nell’impeto agonistico del ciclista, ma nel suo riflesso psicologico, nel suo temperamento, in cui si specchia un modo di pensare e sentire la vita. Sulla stessa lunghezza d’onda Due ciclisti, china e acquerello del 1932, anch’esso in mostra, in cui il discorso sembra farsi più intimistico, ancora pensoso, articolato nel rapportarsi di due figure, di cui la seconda è come un’ombra, la controparte psicologica, si direbbe, di un dualistico profilo di sé, in un clima di pensosità ormai del tutto esistenziale.
Vari sono i soggetti delle opere in mostra, tra gli altri la strada, i giocatori, i musici. Nel taglio di alcuni lavori, quelli realizzati verso la fine del periodo preso in considerazione, può leggersi l’influenza di un critico eccezionale e poco valorizzato, Edoardo Persico, che nella Milano degli anni Trenta inculcò nei giovani artisti che lo frequentarono l’ansito di una motivazione interna, di una vera spiritualità dello sguardo. Ciò nell’opera di Sassu è tra l’altro testimoniato da numerose opere di carattere sacro di quel periodo, di cui in mostra è presente un esempio felicissimo, uno Studio per deposizione, del 1941: intenso, vibrante, ispirato acquerello, interamente giocato sui tagli della luce.
Già in questi anni, il colore per Sassu ha anch’esso un valore simbolico. Come nelle due opere futuriste in mostra (Il ritorno e Ultradecorazione, entrambe del 1927), splendide per la coerenza formale e per la forza della struttura compositiva in cui si riflette, complice una gamma di rossi e gialloaranci caldi ed infuocati, quella tensione retorica e avveniristica che caratterizza molta arte futurista. Viceversa, dopo la svolta realistica ed espressionistica, che non approderà mai del tutto nel linguaggio fauve, appare evidente in particolare la lezione di Matisse: il Matisse di cui Sassu vide le opere quando giovane ancora, in due riprese, nel 1934 e nel 1935, corse a respirare i nuovi fermenti artistici nella capitale francese e di cui erano protagonisti anche numerosi italiani, da Magnelli a De Pisis. L’influenza del maestro francese si legge in varie opere. Interno e finestra, tempera del 1934, sembra evocare Finestra a Collioure, del 1905, o altro soggetto simile, sebbene nel suo lavoro Sassu vi sovrapponga una traccia di sperimentale linguaggio futurista. Si legge nel Ritratto di P.P., tempera del 1940, che istintivamente fa pensare al Ritratto di André Derain, anch’esso del 1905.
Altri lavori ricordano Renoir o Cézanne, come Gineceo, inchiostro del 1934. Spesso gli studi di Sassu sono molto più dinamici delle successive e definitive elaborazioni. Ne è prova un intenso, freschissimo Studio per marinai, matite colorate del 1928. Del 1933 è uno splendido lavoro, un acquerello, La poltrona verde, in cui la prospettiva dello sguardo sottolinea, anzi acuisce, l’atteggiamento assorto della persona assisa in poltrona, a cui fa da contrappunto, in modo divergente, il profilo, anch’esso pensoso, di un fanciullo.
Altro capitolo estremamente interessante dell’opera del maestro è quello dei gruppi figurativi. In esso si legge anche una tensione rappresentativa in chiave sociale, come nella intensa e vivace acquaforte Il monte di pietà, del 1939, o nella dinamica acquatinta a tre rami Gli attori, del 1934, o nelle rappresentazioni più figurative che in genere hanno titolo e soggetto la strada (come 14 luglio, matita blu del 1934 e La strada, acquatinta dello stesso anno). In mostra è altresì una puntasecca dal segno nitido e potente: Il Cavaliere, del 1930. Precorre i celebri cavalli, metafore di una passione vitale inoltrata nel mito mediterraneo. E poi I musici, una bella acquatinta del 1931, segnata da un rosso infuocato e vaporoso, in cui figure di giovani suonatori emergono come da un mitico magma.
Ad essa fa da contrappunto, con lo stesso titolo, una nitida, essenziale ed equilibrata acquaforte del 1931. In mostra è anche una matita del 1938, Figura, uno dei lavori realizzati da Sassu in prigione, nell’ultimo periodo di detenzione, essendo stato condannato nel 1937 per propaganda contro il regime. Infine La Ruffiana, acquatinta a tre colori del 1939. Vi si legge una tensione astratta, stravolgente, quasi visionaria. Il soggetto è letto più per assonanze umorali che per elaborazione figurativa. I colori sfumano nel segno, ocrarossastri. È il limite estremo dell’espressione giovanile di Sassu, che per un verso sembra aprirsi al fantastico, per l’altro all’interpretazione puramente emozionale. Ma resta, nitida e intensa, la concentrazione intimistica, che conferisce alla forma una tensione centripeta, avvolgente, e insieme magmatica. Senza drammi tuttavia e sempre nel segno della luce.

Giorgio Agnisola